L'estetica del paesaggio
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È questo il titolo di uno scritto del sig. Ceccardo Roccatagliata Ceccardi apparso ultimamente nella Vita Nova di Genova. Egli, partendo da due fatti recenti, lancia all'indifferenza italiana nobili parole in difesa della nostra terra bella. I due fatti sarebbero l'ultimo mio scritto e la proposta di legge presentata alla Camera francese dal deputato Beauquier per la protezione del paesaggio. Io non conoscevo la bella proposta francese ma sapevo di società estere sorte appunto in difesa del paesaggio e di quello che si faceva in America per la conservazione dei parchi dichiarati dallo Stato di proprietà nazionale. Ed ora, conoscendo quello che si fa in altre nazioni e in terre barbariche in difesa della bellezza, ora sono inevitabili le tristi riflessioni sulle cose nostre e sui nostri governanti che col consenso di tutti i partiti arrivano alla legge per l'incivilimento dell'Agro romano, ossia alla distruzione del luogo più bello più grande più intenso della terra.
Si, in Francia e in America, che non possono vantare un luogo simile, sorgono le belle imprese, da noi qualche giovenile voce qualche grido di protesta passa tra indifferenza generale e tra lo scherno.
E pure, quando tra gli impiegati del Ministero della Pubblica Istruzione fu chiamato Angelo Conti, noi sentimmo come l'appressarsi di una nova vita come l'inizio di un risveglio che avrebbe portato un'influenza rigeneratrice nelle aride cose governative: credemmo che allora incominciasse l'opera buona di coloro che sino a quel tempo erano apparsi come solitari o tenuti come dementi. Ma sembra che ancora la via sia lunga e la meta lontanissima.
Purtroppo, Sig. Ceccardi, non sono con voi per quel fischio del vapore, appunto perchè non solo viene a distruggere la melodia del Clitunno e la pace notturna nel lido Adriano ma perchè infinite cose belle ha cancellate irreparabilmente. Paesi, campne, regioni intere dopo quel fischio hanno perduto le loro belle industrie, i loro tessuti, i loro cocci, le loro vesti e anche le loro parole, insomma la loro vita. E il male sarebbe stato piccolo se la trasformazione fosse stata in qualche modo degna: invece tutta l'ignobiltà accumulata nelle tristi officine di Milano o di Germania si è riversata sin nelle più lontane e nascoste contrade; tutti gli orpelli e i luccichii barbarici sono venuti a contaminare le belle creature delle campne; i colori delle più tristi aniline sono stati impressi nei tessuti che dati a pochi centesimi oggi hanno uniformato da un capo all'altro i nostri contadini un tempo cosi adorni.
Tutto, tutto e stato guastato e corrotto e bisogna penetrare in qualche luogo montuoso lontano da quel fischio, come a Scanno, per ritrovare le impronte antiche. Dobbiamo consolarci quando un poeta o un pittore fissa questi ultimi segni; e se la Campna romana, quella della nostra giovinezza, dovrà scomparire, consoliamoci se avrà per ultimo suo cantore Gabriele d'Annunzio.
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